mercoledì 21 novembre 2012

ITINERARIO LIRICO TRA MEMORIA E SPERANZA

Recensione di P.S. Post Sisma a cura di Gianfranco Giustizieri





La trovate su
http://www.inabruzzo.com/?p=141467



L’Aquila – (di Gianfranco Giustizieri) – La giovane poetessa aquilana Alessandra Prospero ha raggiunto un altro significativo riconoscimento con la lirica Primavera sognante risultata vincitrice nel Concorso letterario nazionale “Diffusione Autore”, Sezione Poesia, indetto dalla casa editrice GDS.
La poesia è inserita nel libro P.S. Post Sisma, silloge di 18 liriche divise in due sezioni “Il Dramma” e “La Speranza”, già conosciuto dal pubblico dei lettori perché è stato presentato nella scorsa primavera al Salone del Libro di Torino dalla casa editrice Città del Sole di Reggio Calabria ed accolto con molto consenso dalla critica letteraria.
Post Sisma raccoglie l’itinerario poetico dell’autrice dal sisma dell’Aquila fino ai giorni nostri.
Il miglior modo per introdurci tra le pagine del libro è la lettura del testo introduttivo scritto dalla Prospero:
Essere testimoni, protagonisti e superstiti di un evento traumatico cambia irrimediabilmente il vissuto
di una persona e, in fondo, anche la persona stessa. Sopravvivere poi a una calamità naturale lascia un
solco indelebile nell’anima, scavato dalla paura, dal dolore e dalla rabbia.
Sono particolarmente legata a questa silloge perché è nata da tutte queste componenti e dalla ferita an-
cora aperta che la distruzione della mia città rappresenta: ogni poesia ha esorcizzato la sofferenza
incontenibile causata dal sisma ed è stata per me una tappa salvifica di un viaggio doloroso verso la
speranza e la rinascita.
Ogni aquilano porta nel proprio vissuto, in diversa misura, il carico di queste parole e l’itinerario personale si dipana tra due nuclei fondamentali: ciò che si era e ciò che si è, IERI ed OGGI. Poi, in un fondo nebuloso, il DOMANI.
Da qui i ricordi, la vita di ognuno e dei suoi cari, gli affetti, i luoghi, le abitudini, il tempo quotidiano, i rimpianti e le speranze, la gioia ed il dolore, le albe ed i tramonti.
In questo viaggio di memoria e di speranza si è cercato di dare una personale risposta (quando si è trovata) e molti hanno avuto un rifugio catartico nella scrittura raccontando il proprio dramma, le proprie esperienze: tutti conosciamo il proliferare di libri sull’argomento.
Ma spesso la poesia non ha trovato la sua Voce, una dimensione intima, pudica, quasi nascosta, in cui catturare e narrare attimi, momenti, illuminazioni, frammenti, tesserine di quell’impenetrabile mosaico che è il nostro mondo interiore.
La Prospero lo ha fatto: un itinerario lirico tra memoria e speranza, un viaggio iniziato apparentemente dal sisma, ma con radici più lontane (ieri che diviene per sempre…Un tempo avrei cavalcato verso i tuoi desideri…Quando anche il tenero grano dei tuoi capelli appariva un severo castano di stanchezza…), secondo versi presi qua e là da alcune liriche.
Così lei stessa ebbe a dichiarare in un’intervista:”Penso di aver fatto un lavoro di – addolcimento – del trauma, di quello che – gli scrittori terremotati – hanno scritto istintivamente in prosa. Penso di aver scelto la poesia proprio a distanza di tre anni perché con il tempo sono riuscita a metabolizzare e a mitigare le mie esperienze e la mia vita” (Alessandra Prospero, poesie sul sisma. “Per addolcire il dolore” di Sara Ciambotti, «Abruzzo Web», 1 luglio 2012).
Una poetica che ha esempi illustri nella storia della letteratura dove il linguaggio della poesia si specializza fondato su se stesso, sulla propria autoriflessività. I rapporti tra i ricordi e le percezioni sensoriali, la natura e le visioni soggettive, il personale particolare divenuto simbolo di un universale più ampio ma misterioso che sfugge ad ogni regola razionale, un linguaggio quindi dove il poeta cerca un rapporto con il mondo non più mediato dalla ragione e comunica attraverso e solo l’io interiore. Gli esempi diretti di espressioni liriche legate alle proprie emozioni che non tollerano mediazioni razionali e derivano direttamente dall’io interiore sono infiniti, da Charles Baudelaire a Giovanni Pascoli, da Gabriele d’Annunzio a Giuseppe Ungaretti, per citarne alcuni.
Da qui la necessità dell’uso molteplice di figure retoriche adatte ad esprimere rapporti analogici avvicinanti il proprio vissuto alla realtà esterna rivelando così le profondità nascoste e l’accurata ricerca lessicale con la scelta di parole e frasi dalla voluta ambiguità significativa.
Tutto ciò nella silloge e cercheremo di individuare i diversi passaggi e l’itinerario seguito attraverso la lettura di alcune liriche.
Una prima riflessione deve essere dedicata alla copertina del libro: un frammento della facciata d’ingresso del suo palazzo in Via Milonia. La pagina è divisa in due parti simmetriche, la prima in bianco e nero, fermo immagine perenne di macerie per una data indimenticabile; l’altra, con un ramo rampicante, quasi spoglio, uscito chissà da dove, che inizia ad abbarbicarsi tra le fessure, quasi alla ricerca di nuovi spazi vitali.
Due immagini metaforiche dotate di un’intrinseca forza evocativa secondo un espressivo rapporto significante/significato dove il grigio delle mura detta i confini ed il nero dello sfondo annuncia il nulla, ma il rosso, il verde, il giallo ed il marrone delle foglie sono forieri di forza, rinascita, libertà, corporeità, sono i colori della vita che dal ramo annunciano altre speranze.
Il dramma e La speranza sono i titoli delle due sezioni della silloge: il viaggio incomincia.
L’autrice, con la lirica Un anno, irrompe all’interno della tragedia, e ripercorre quegli attimi divenuti eterni in cui persone e cose vengono inghiottiti in un buio senza tempo. Mentre tutto rovina intorno, la ricerca disperata del suo bambino, la fuga senza meta nella notte, il sollievo di avere intorno a sé le persone amate e poi la lontananza dai quei luoghi tanto cari. Sulla spiaggia lambita da onde dalla fredda luce (onde cobalto), la mutevole sabbia diviene la dolorosa oasi della salvezza. Significativo e bello questo quadro lirico dove l’aggettivo mutevole richiama al non eterno, a ciò che repentinamente può cambiare aprendo anche un flash alla memoria con un richiamo inconscio alla “Sand art” dell’israeliana Ilana Yahav la quale plasma personaggi e scenari utilizzando manciate di sabbia disposte su quadri luminosi e riprese da una telecamera. Poi quartine dalle sensazioni ossimoriche: il suo bambino è lì, respira la brezza mattutina, …, insomma vive, mentre lontano la tragedia si consuma. La conoscenza ed il richiamo poetico di Allegria di naufragi di Giuseppe Ungaretti è forte e si avverte. Quindi il ritorno in una città fantasma, dove è obbligo ricostruire la vita, cercare di andare avanti senza poter dimenticare. La chiusura avviene con una quartina dal carattere aforistico perché annuncia un pensiero morale: la dignità per sopravvivere in una città dilaniata dalla natura e dall’uomo.
Lirica dalle opposte emozioni, dove il lutto e la tragedia si alternano al soffio della vita, dove dal nero del nulla affiorano future speranze, dove le molte figure retoriche (l’anafora, l’ossimoro, l’analogia) riportano alla conoscenza ed assimilazione di grandi poeti: Pascoli, d’Annunzio, Ungaretti.
L’itinerario del Dramma continua. Si entra nell’immagine di copertina: La mia casa. E’ un intercalare di ricordi, sensazioni, desideri, dove la realtà del presente ha trascinato tutto via. Rimane la poesia come canto dell’anima, salvezza della memoria, àncora per non dimenticare. Rimangono le piante, i fiori: indicano la dolcezza di un tempo che fu, la voglia di un possibile domani, la tenacia di resistere. Vorrei poter nuovamente dialogare/ con l’ibisco, fiore dalla bellezza fulminea e fugace che accompagnava i pomeriggi felici, ora, invece, accende solo un caleidoscopio di ricordi; poi il giovane melograno/si aggrappava faticosamente/al proprio orcio di salvezza, simbolo di un’energia vitale e di fertilità, annunciazione di possibili domani; infine l’edera che freme e resiste strenua/ai lati del mio cancello, pianta che germoglia nell’ombra e nel freddo, incurante della tragedia, trova sempre un muro a cui aggrapparsi e nulla riesce a strapparla, tenace nel tempo. Poi due versi di chiusura segnati da una metafora: quella stessa edera, simbolo di fedeltà temporale, si stringe al cancello ormai chiuso. Diviene la custode protettiva di tutto ciò che vi è racchiuso: un passato che non ritorna, il ricordo di giorni felici, la memoria di un quotidiano che ora non c’è più.
Terza tappa all’interno delle 12 liriche che compongono la prima sezione: Delusa.
Forse è la poesia che più delle altre sfugge ad ogni classificazione. Nei suoi versi asciutti, privi di punteggiatura, l’elemento introspettivo risalta e porta lontano, al di là ed oltre il sisma. Il sospetto è di trovare le radici in tempi più remoti, germinate da altre esperienze non felici, dove il terremoto diviene l’occasione per aprire l’anima travolta dall’ondata dei ricordi. L’ultimo verso, tratteggiato da un solo termine, Delusa, costituisce il nucleo fondativo della lirica dove solo isolate voci verbali ed aggettivi (scivola, defraudata, graffiano, fremente, morta), costituiscono l’apertura di cinque terzine che annullano ogni speranza alla mia voglia di ricominciare. Non si può entrare nell’intimità del poeta, violare spazi ermeticamente chiusi, squarciare passati non menzionati; allora ci si affida alla forza evocativa delle parole, alla suggestione delle immagini, alla tecnica di costruzione, a messaggi indicati. Parole indicanti un dramma interiore percorso da una volontà di ribellione ormai lontana, due terzine centrali dalla disperata reazione confinate da altre velate da una malinconica rassegnazione. Immagini lontane e vicine che risvegliano la consapevolezza di una precarietà senza tempo. Un linguaggio quasi carnale che dà voce ai lati oscuri della vita stessa e si pone con l’intensità di parole (tonfo sordo, defraudata, graffiano, fremente, la mia carne) che danno peso alle esperienze nascoste.
A seguito la seconda sezione La speranza, sei liriche dalle diverse tematiche, apre le pagine.
Ciò che è accaduto ha lasciato tracce indelebili, è difficile tornare nei propri angoli, riprendersi la propria vita, riconquistare gli spazi abbandonati, rivedere la città ferita, tornare alla speranza del domani, combattere giorno per giorno. Eppure si deve: si deve ai figli che indicano il futuro, si deve alla natura ritornata con i suoi profumi ed i suoi colori, si deve agli altri, compagni fedeli di vecchi e nuovi percorsi, si deve alla propria madre per tutto ciò che ha donato ed infine si deve ai propri ricordi per riconquistare la serenità perduta.
La lirica Figlio irrompe tra le prime pagine della sezione per dare la prima luce di speranza ed indicare la via in un percorso tra il tempo presente ed il tempo futuro. Questo figlio, introdotto nella poesia da un ossimoro (lume nella disperazione) fortemente evocativo in cui la maturità poetica dell’autrice coglie nelle due parole, lume/disperazione, la sintesi oppositiva di due concetti (gli studi sulla poesia ermetica si avvertono), rappresenta la via della salvezza. I suoi occhi, verdi come la rinata primavera, il suo corpo, fresco di giovinezza, costituiscono l’approdo a cui ancorarsi in un presente altrimenti drammatico. Amore di madre per la sua gemma, unica luce nel buio della notte, amore di madre per il suo bimbo, richiamo dolcissimo per la felicità.
Primavera sognante, la poesia premiata, lirica dalla dolce musicalità, segna l’avvio di un nuova serenità. Il fiore della primula irrompe prepotentemente nel primo verso, simbolo della speranza di rinnovamento e di una ritrovata giovinezza. Il sorriso si schiude al ritorno delle emozioni, un composto di profumi si avverte nell’aria dopo l’acre e faticoso respiro nella polvere, rispondono gli echi ad un gesto di infinita dolcezza (e chiudo gli occhi addolciti di trucco a chiamare echi) con il richiamo ad una giovinezza non perduta, il giorno non apre ma si orna (costellarsi) di note musicali e termina in un soave canto notturno. Tutta la scelta lessicale, in una lirica dai versi liberi, connota il consapevole uso dei termini linguistici tesi a donare, a chi legge, quella musicalità di cui è intrisa la poesia. La volontà di rincominciare è palese ed inizia proprio da quella natura che fu matrigna ma ora presente come portatrice di sogni e di speranze.
Voltiamo la pagina e leggiamo: A mia madre.
Già il titolo racchiude un preciso significante affettivo dilatato, nei versi successivi. L’attacco iniziale è costituito da un intreccio tra il tempo presente ed il tempo passato in cui il desiderio del quotidiano si fonda sul ricordo della prima esistenza. Infatti il sisma ha diviso nettamente in due la vita di ciascuno: prima e dopo, sicurezza e precarietà, a volte la vita e la morte. La voglia di fermarsi, riposare nel ricordo di giornate serene quando con la madre, pronta e devota, ha condiviso lo scorrere del tempo, ha compreso le opposte fragilità, ha affrontato bisogni, desideri, necessità. E adesso una nuova vita le attende, partiamo per una nuova avventura, si torna indietro in tutto ciò che è stata unione ed amore. Poi le stagioni future: la risata del nostro ometto sarà la guida per il nuovo cammino. L’uso consapevole delle voci verbali, presenti nei diversi tempi, scandisce il passaggio dei diversi quadri incorniciati in momenti di vita familiare. Le scene passano da un passato da ricordare ad un presente da vivere per confluire in un futuro da sperare. Per concludere, la figura materna costituisce una tematica ricorrente della letteratura di ogni tempo e di ogni luogo, con modalità propositive diverse sia a livello tematico e stilistico ed in base al contenuto storico-culturale dell’epoca e secondo la specificità culturale e caratteriale di ogni artista. Un solo richiamo storico-letterario: la differenza sostanziale de La Madre dell’Ungaretti e de La Madre di Eugenio Montale. Ebbene, la Prospero ha avuto la forza di offrire il suo nome in un tema privilegiato e grande di poesia ed i suoi versi potranno lasciare un bel ricordo a tutti coloro che la vorranno leggere.
Chiudiamo con Salinello. Questo nome è ben conosciuto e riporta al fiume che segna i confini tra i comuni di Giulianova e di Tortoreto o al viadotto, valicante il corso d’acqua, timorosa visione per ogni traversata. Ad una prima frettolosa lettura l’opzione di scelta è verso il fiume, altro tema storico nella letteratura mondiale, ma quando l’attenzione s’indirizza verso alcuni significati semantici, il dubbio si dissolve: il ponte del Salinello, con la sua altezza temeraria, è lì nella pagina e la Prospero con lui. La poesia si fa ardita: ciò che genera possibili ansie, diviene luogo del ricordo e guardiano dell’anima. La scena sembra ritratta da un sapiente pittore: le onde increspate e minacciose, avvolte nel buio della notte, sulla terra miriadi di luci annunciano paesi lontani. E’ la terra, il mare, il luogo in cui si è passata una stagione felice, è la terra, il mare, il luogo in cui si è trovata protezione e conforto, è la terra, il mare, il luogo che hanno donato i più teneri ricordi. Lì, in una fresca notte di settembre la pace riempie l’anima ed il Salinello ne diviene il vigile tutore.

27 Ottobre 2012





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